“Guai, se la plebe comincia a gustare il sangue! È un ubbriaco, che più beve, più desidera il vino. Ignobili affetti presero il velo della religione, coll’eterna iracondia del povero contro il ricco, contadini e servi piombarono sui loro padroni; i debitori su cui dovevano, i drudi sui cauti mariti”.

Così scriveva Cesare Cantù, descrivendo la tragedia che nel luglio 1620 vide la morte di 400 protestanti in nome di un Dio. Lui stesso, cattolico convinto, venne ammonito dall’arcivescovo Romilli per la sua eccessiva indipendenza di giudizio, a cominciare dal titolo: “Il Sacro Macello”.

Continua il Cantù:

“E fortunato chi moriva di primo colpo, senza vedersi scannate innanzi le persone care, senza bevere a sorsi la morte disperata, straziati a membro a membro, coi visceri divelti. Vien meno la virtù della favella a descrivere quell’orribile arte di strazio”.

Storico incorruttibile, le considerazioni di Cesare Cantù sulla politica del tempo rimangono incredibilmente attuali (penso alla recente votazione sull’ospedale Morelli di Sondalo):

“Se il passato potesse servir da lezione, e l’uomo non si ostinasse a ricominciare sempre l’esperienza a proprie spese, avrebbero i signori ad apprendere a rispettar la giustizia, i patti e la più libera delle cose, la coscienza, onde non costringere i popoli a ricorrere all’estremo rimedio”

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